Pensavo di iniziare facendo della sana polemica, parlando ad esempio di quanto è strano che uomo-sponsor sia per forza in ferie forzate e non in smart-working. A differenza del suo uomo-capo-capo che, per disposizioni aziendali, deve esser sempre reperibile. Benissimo. Mi potreste obiettare che, visto le responsabilità di uomo-sponsor e che le dinamiche aziendali hanno logiche tutte le loro, non può esser altrimenti. A voi trarre le conclusioni. Per inciso, uomo-sponsor & c. non producono beni essenziali alla salvezza dei loro simili.
Manterrò quindi la promessa e vi racconterò invece di quanto è stata bella la giornata di oggi.
Entrambi siamo stati tutto il giorno all’aperto, in giardino. Lui impegnato nella manutenzione che un po’ di verde richiede, io a rincorrere le lucertole. Giusto per non perdere l’allenamento. E poi d’improvviso, il distributore ambulante di croccantini si ferma, si alza, lascia le erbacce che stava sradicando, si avvia verso un tavolo, si toglie i spessi guanti e accende una piccola radio.
Da quel momento, dopo breve annuncio di un conduttore radiofonico, hanno iniziato a trasmettere una musica sulla base della quale, uomo-sponsor si è messo a cantare. Quello era il loro inno nazionale, l’inno di Mameli.Ora più che mai c’è bisogno di simboli a cui aggrapparsi. L’inno va oltre le barriere d’opinione e oggi, ancor di più, così suonato è stato qualcosa di unico, che mai prima d’ora si era verificato nella storia di questo paese.
Forse non sarà servito a nulla, forse sarà servito a loro, poveri umani. A sentirsi tutti uniti, tutti uguali.Infatti, l’inno di Mameli solitamente viene rispolverato alle parate o in occasioni di eventi sportivi. Soprattutto alle partite di calcio. Oggi però si gioca la partita per la vita. Da una parte il mostro COVID19 dall’altra il genere umano.La partita non è ancora finita, ma attenzione. Non sarà un gioco a somma zero.
Se uno vince, l’altro muore e non ci saranno nè strette di mano, nè scambio di gargliadetti.